E’ nato sotto i bombardamenti dei caccia alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Era il 1941 in via Leonardo da Vinci, all’epoca la strada principale di Guidonia, attorno alla quale il Duce aveva realizzato le case popolari. Sarà per questo che Eginaldo Giansanti ha sempre avuto il “pallino” per la storia della sua città, una storia sintetizzata nelle 270
pagine di “Cronache Guidoniane”, un libro patrocinato dal Rotary Club Guidonia Montecelio che
verrà presentato il prossimo 6 dicembre.
Per Giansanti, già autore di “Le Ali di Guidonia” e “Le Ali di Montecelio” sulla storia dell’aeroporto “Alfredo Barbieri”, è l’occasione giusta per illustrare testimonianze e fatti della città partendo dalla fondazione nel 1937 fino all’inizio degli anni sessanta, attraverso l’esperienza diretta di Virginio D’Andrea, imprenditore e corrispondente de “Il Messaggero”, col contributo delle memorie orali di alcuni personaggi dell’epoca e dell’autore.
Figlio di Goliardo, esperto della meccanica fine e strumentista di bordo degli aeroplani del “Barbieri”, e di Edelia Di Marcotullio, fratello della dottoressa Ombretta della storica farmacia Scavolini di viale Roma, Giansanti è sposato con Assunta Nisi e ha una figlia, Silvia, speaker di Radio Dimensione Suono 2. Di passioni ne ha a bizzeffe, a cominciare dalla collezione di minerali, passando per le fotografie e i documenti dell’aeroporto, di cartoline di Guidonia d’epoca e moderne, fino alla pittura a olio.
Non ha vestito la divisa azzurra per puro caso, Eginaldo Giansanti, ma ha sempre avuto l’aeronautica nel sangue., soprattutto per quella simbiosi molto stretta tra la società civile di quando era bambino e il “Barbieri”, che all’epoca era un punto di riferimento per organizzare feste e andare al cinema, mentre il 4 novembre era aperto al pubblico per i voli di propaganda. Erano i tempi in cui il 50 per cento delle famiglie lavorava in aeroporto, pur vivendo in quel nucleo modernissimo di architettura razionale che racchiudeva in uno scacchiere ben ordinato una umanità nuova ed originale: i Guidoniani.
Gente proveniente da Montecelio, da Puglia, Veneto, Romagna e Roma, che all’ombra della torre civica di piazza Matteotti si incontravano, si aiutavano, organizzavano feste civili e religiose scambiandosi tradizioni ed origini culturali, assai diverse.
Perché “Cronache Guidoniane”?
“L’idea di scrivere un libro sull’aspetto socio-urbano di Guidonia, è avvenuta per caso grazie al mio amico Carlo Todini”.
Come?
“In un mercatino di antiquariato di Cuneo in una bancarella di libri usati è stata ritrovata una raccolta storico-cronologica di ritagli di giornali ben ordinati in cartoncini in modo da formare un volume raccoglitore.
Sulla copertina era ben impresso il nome di Guidonia e la paternità di questa originale raccolta personale, ovvero Virginio D’Andrea, corrispondente de Il Messaggero per la Provincia di Roma. Lui lavorò al giornale sia durante il periodo fascista, sia nel dopoguerra. Lo conoscevo bene, era mio vicino di casa e lo consideravo il principale punto di riferimento della cronaca cittadina. Era il Tiburno di allora”.
In che senso?
“Non vi era cerimonia, inaugurazione, evento civile politico o aviatorio dove lui non fosse presente con penna e block-notes. Dopo aver letto quegli appunti, ho deciso in piena consapevolezza che molti articoli meritavano di essere riproposti rielaborandoli con le cronache dei ricordi degli anziani superstiti che oggi sono pochissimi”.
Chi ad esempio?
“I vecchi guidoniani, come mia madre, il cavalier Fornari, i compianti Nino Terzulli e Ciccio Cavallo, Telmo Tuzi, figlio del pediatra Michelangelo, ed altri ancora. Sono stati determinanti per raccontare storie che altrimenti si sarebbero disciolte nell’oblio delle memorie. Attraverso di loro ho fatto rivivere i cognomi di persone ormai dimenticate o trasferitesi lontano, di personaggi politici, il dramma dei bombardamenti alleati e la lenta ma inesorabile fase della rinascita, il gusto delle festività, delle processioni, delle cerimonie e fasti del cinema Imperiale ma anche i ricordi più cari dei frammenti della nostra vita trascorsa senza cellulari o i-pad nei favolosi ed irripetibili anni Sessanta”.
A 70 anni si fanno bilanci. Il suo com’è?
“Molto positivo”.
Con quale lavoro si è guadagnato il ‘pane’?
“Facendo progettazione e montaggio di impianti industriali nel settore petrolifero e farmaceutico. Così ho girato almeno trenta Paesi, da Cina a Taiwan, da Arabia Saudita, a Egitto, Etiopia e Yemen e l’Europa intera”.
Il meglio della sua vita?
“La passione per l’Aeronautica che mi ha stimolato ancora di più a girare il mondo”.
Rimpianti?
“Non aver potuto essere un pilota d’aerei”.
Rancori?
“Nessuno”.
Rimorsi?
“Nemmeno. Ho fatto e faccio una bella vita, ho avuto tanti amici e continuo ad averne altrettanti su Facebook”.
La sua qualità più importante?
“L’altruismo. E poi sono laziale”.
Un sentimento centrale nella sua vita
“Direi tre. Il rispetto per gli altri, l’onestà e il senso della famiglia”.
Come ha deciso di vivere da oggi alla vecchiaia?
“Facendo ricerche nell’Archivio storico comunale, dove ho già visto alcuni volumi interessanti. Magari scriverò un altro libro insieme a qualcun altro”.
Maestri della sua vita?
“Per me è stato fondamentale il carattere fortissimo di mia moglie”.
Ma alla fine cosa crede lascerà di importante?
“Vorrei trasmettere agli altri l’entusiamo per le ricerche culturali per capire meglio la storia”.
Marcello Santarelli